ACCADEMIA DI BELLE ARTI
BARI
CORSO DI PITTURA - II CATTEDRA
TESI IN STORIA DELL'ARTE
I MARTINELLI E LA VILLA MEO-EVOLI A MONOPOLI TRA STORIA, LEGGENDA E
REALTA'
Relatrice: Prof.ssa MIRELLA CASAMASSIMA
Diplomanda: CINZIA MARASCI
ANNO ACCADEMICO 1991-92
n.d.r. - Le immagini non sono purtroppo della migliore
qualità per l'impossibilità di reperire i negativi
originali delle foto; è possibile ingrandire ogni immagine del
presente documento con un "click". Il Dott. Leonardo Meo-Evoli
ringrazia la Dott.sa Cinzia Marasci per aver concesso l'inserimento del
presente documento nel
sito
Villa Meo-Evoli
Indice
L'attuale villa Meo-Evoli fu costruita nell'ultimo decennio del XVIII
secolo. Ma prima di procedere alla sua descrizione, è opportuno
effettuare un'analisi delle situazioni storico-socio-economiche dei
secoli che precedettero l'edificazione della villa stessa,
poiché queste ebbero grande rilevanza circa l'origine, l'operato
e la fortuna della famiglia che la costruì, la famiglia
Martinelli.
Questa discendeva con molta probabilità da una lontana casata
veneta. Il suo insediamento sul territorio prima di Mola e poi di
Monopoli trova delle possibili spiegazioni nel dominio veneziano cui
furono sottoposte, sin dal 1496, le due cittadine accanto ad altre
della costa pugliese come Trani, Polignano, Brindisi e Otranto.
Con il trattato di Granada, 11 novembre 1500, il Re di Francia Luigi
XII ed il Re di Spagna, Ferdinando il Cattolico, decisero di occupare e
spartirsi il Regno di Napoli, dove regnava Federico III D'Aragona.
[Mu]
In base all'accordo, i Francesi avrebbero occupato Napoli, la Campania
e gli Abruzzi; gli Spagnoli la Calabria e la Puglia. Di fatto la
Calabria era già nelle mani degli spagnoli, che non persero
tempo nel passare in Puglia, occupandola quasi completamente.
Mancavano, appunto, le già citate città di Mola e
Monopoli dominate dalla Serenissima.
In seguito ad una battaglia campale per la contesa della Capitanata,
davanti a Cerignola, il 28 aprile del 1503, i francesi e gli spagnoli
si scontrarono, con la vittoria di questi ultimi che rimanevano i
padroni incondizionati della Puglia e si aprivano la via per Napoli.
Tutto il Regno passava così sotto Ferdinando il Cattolico. Nel
giro di pochi anni non fu difficile per il sovrano spagnolo ottenere da
Venezia la restituzione delle città costiere pugliesi succitate
(1508).
[Mu]
Per la città di Venezia fu un atto tutt'altro che piacevole,
riusciva tuttavia ad osservare il controllo dell'Adriatico precludendo
l'accesso ad altre flotte. Era suo interesse a che il mare non fosse
minacciato da alcuno e non fossero compromessi i suoi traffici. I buoni
rapporti con il sovrano spagnolo, poi, consentirono alla Repubblica di
San Marco, di mantenere attivissimi i suoi vitali rapporti commerciali
con la Puglia: qui poteva continuare ad approvvigionarsi di frumento,
olio (per l'illuminazione e l'alimentazione) e vino; qui poteva
continuare ad esportare tessuti, seterie, vetri
[AV1].
L'influsso di Venezia spinse la regione ad importare artisti e prodotti
d'arte, si pensi alle presenze di opere come quelle di Paolo Veronese,
del Tintoretto e della sua scuola e soprattutto di Palma il Giovane.
Venticinque anni dopo, la tensione tra spagnoli e francesi riprese,
tanto che il dominio spagnolo, con Carlo V sul Regno di Napoli, sembra
vacillare, avallato anche dal fatto che molte città pugliesi,
compresa la stessa Venezia, cominciarono ad appoggiare i francesi. Vi
furono altre guerre che prostrarono la Puglia e che videro, ancora una
volta, vincitrice la Spagna.
Nel 1529 Venezia firmò la pace con Carlo V, consegnando
all'Imperatore le città di Monopoli, Barletta e Trani. Un
funzionario provveditore dell'esercito veneto avrebbe scritto nel 1528
che le terre erano state tolte ai loro feudatari e vendute ad altri
feudatari dietro l'esborso di grosse somme; tutta la Puglia era in uno
stato di disperazione.
[AV1]
La monarchia spagnola, infatti, sempre a corto di denaro per alimentare
la sua macchina bellica, non esitava a vendere le città a nobili
potenti, e soltanto se le città erano in grado di pagare le
ingenti somme richieste, potevano rimanere "demaniali", ossia
sottoposte solo a giurisdizione regia, ma tuttavia autonome.
[In]
Queste cittadine, tra le quali la stessa Monopoli, potevano così
evitare la dipendenza feudale, limitatrice del libero gioco delle forze
economiche e sociali, inoltre godere di qualche privilegio. Tali comuni
avevano i loro statuti e capitolazioni, ossia norme scritte che
regolavano la loro vita amministrativa, politica e spesso anche
economica e sociale. Naturalmente erano norme rispondenti al numero di
abitanti, all'ampiezza del territorio, alle strutture produttive di
ciascuna comunità.
[AV2]
Nel 1713 si concludeva la guerra di successione spagnola e la Spagna
dovette cedere all'Austria i suoi domini italiani, quindi anche il
Regno di Napoli. La Puglia dalla dominazione austriaca ricavò
ampi vantaggi. Una politica di traffici e di commerci mediterranei
ridiede vita ad un organismo depresso: le esportazioni di olio da
Gallipoli e dalla terra di Bari (Monopoli, Bitonto ecc.), quelle della
lana da Manfredonia, di grano e di altri cereali da Barletta, Trani,
Molfetta, Taranto, verso altri porti italiani come Genova, Livorno e
Venezia, e da qui verso altri porti del Mediterraneo. Si aprivano
così, nuove prospettive per i più intraprendenti
patriziati locali e per i gruppi più attivi di una nascente
borghesia. Questo intensificarsi dei traffici si accompagnava ad un
aumento della estensione delle terre coltivate e ad un incremento della
popolazione specialmente nelle zone agricolo-commerciali.
[Mu]
Ma la battaglia di Bitonto del 1734 combattuta tra le truppe austriache
e quelle spagnole, sanciva la fine del poco meno trentennale
(1707-1734) viceregno austriaco e l'inizio, con la monarchia borbonica,
di una nuova fase storica per il Mezzogiorno d'Italia.
In terra di Bari numerosi divennero i centri con quasi 10.000 abitanti.
Si trattava o di grossi borghi rurali dell'interno o di porti molto
attivi nel commercio di lana, grano e olio, come già detto.
Queste città erano caratterizzate da una struttura sociale
abbastanza articolata, con la presenza di un ceto medio di mercanti e
massari capaci di esercitare pressioni sui potenti nuclei di patriziato
locale. Il governo cittadino era determinato, infatti, dai nobili da
una parte, e dai "civili" o popolo grasso, composto da notai, avvocati,
medici, speziali, grossi proprietari e mercanti dall'altra.
Verso il 1750-1760 vi furono numerose carestie causate dalla
siccità, invasione di locuste, gelate che implicarono una vera e
propria crisi in Puglia e nel Regno. Le preoccupazioni circa
l'approvvigionamento alimentare dei centri urbani, ed in primo luogo di
Napoli, nonché le manovre speculative di mercanti e di
accaparramento delle derrate da parte dei feudatari e benestanti,
crearono notevoli margini di profitto per coloro che disponevano di
ingenti quantità di prodotti agricoli, e non solo anche per una
fitta rete di usurai che comprendeva oltre ad esponenti del notabilato
locale anche il clero.
[AV5]
Tra il 1771-80 ed il 1792-94 la terra di Bari ebbe il primato nella
produzione dell'olio che oltre a soddisfare un crescente consumo
interno alimentò un commercio di esportazione sempre più
immenso. Tale commercio offrì favorevoli occasioni di
investimento e di profitto ad un ceto mercantile, quale era quello dei
Martinelli, in rapida ascesa economica e politica, in centri costieri
come Bisceglie, Molfetta, Bari, Mola, Polignano e Monopoli.
Tra il XVIII e XIX secolo si assiste ad una espansione della
proprietà fondiaria, continua inoltre la secolare tendenza a
dare in affitto o a colonia le terre, ricavandone la più alta
rendita possibile e scaricando sui fittavoli e coloni i rischi di
impresa. Decine di migliaia di ettari di terra incolta o a pascolo
furono trasformati in vigneti, oliveti e mandorleti. Si affermò
sempre di più la "masseria", l'azienda tipica della media e
grande proprietà fondiaria, che si avvaleva di grosse
concentrazioni di contadini poveri e di braccianti che, da un lato
assicuravano forza lavoro a buon mercato e abbondante, e dall'altra
comunque garantivano, anche in caso di scarsa richiesta di manodopera,
discreti margini di profitto ai proprietari.
[AV5]
A partire dal '500 fino ai primi anni del 1800, la Puglia dovette
pagare costantemente un grave prezzo per la difesa del litorale dagli
attacchi dei turchi e dalle scorrerie dei barbareschi (si intendevano
così tutti i pirati africani provenienti dalla Barberia, ossia
dalla costa settentrionale dell'Africa e precisamente dalla terra delle
tre reggenze, Algeri-Tripoli e Tunisi).
Per questo in nessuna ricca città costiera poteva mancare una
buona cinta muraria integrata in un sistema di avvistamento. Occorreva
essere in grado di respingere il primo attacco, che solitamente
avveniva di sorpresa, e resistere anche per diversi giorni fino
all'arrivo dei soccorsi, non sempre solleciti. Il pericolo era sempre
incombente; i più esposti erano i pescatori, che venivano
sorpresi in mare e i contadini che lavoravano le terre prossime alla
riva. Gli ultimi schiavi fatti in Monopoli furono quattro persone
rapite il 26 luglio 1804.
[AV2]
Monopoli per la sua importanza strategica ed economica e per ricchezza
di territorio, rappresentava una preda appetibile per l'Impero
Ottomano. Per queste ragioni l'Università (comune) di Monopoli
potenziò il proprio sistema difensivo creando una cinta muraria
simile ad una vera e propria fortezza e dislocando sulla costa una
serie di torri di avvistamento per far fronte agli attacchi provenienti
dal mare. Per proteggere i beni e le vite dei cittadini a prezzo di
grossi sacrifici finanziari anche le esigenze di spazio, evidentissime
nei periodi di espansione demografica, venivano sacrificate rispetto
alle prioritarie necessità di ordine difensivo, determinando
così nel XVII e XVIII secolo condizioni igieniche drammatiche
[DV]. Una testimonianza di ciò la
fornisce nel 1767 Jhoann Hermann Von Riedesel, viaggiatore tedesco
corrispondente del Winckelman, il quale attirato dalla bellezza della
città e dal suo pittoresco porto, si inoltrò tra i vicoli
della congestionata Monopoli, ma l'esperienza non positiva lo
portò a definire la città nel suo libro "nella Puglia del
settecento", come spaventevole per il gran numero di gente che la
popolava, quasi diecimila anime
[Ri]. Tra
i sistemi difensivi costruiti sulla costa rientrava anche il castello
di Santo Stefano. Fondato nel 1086 da Goffredo il Normanno, Conte di
Conversano e figlio di Tancredi di Altavilla, la rocca sorse al tempo
delle crociate su di una penisoletta protendentesi tra due insenature
che formano due piccoli porti naturali. Fu sede del Monastero dei
Benedettini Cistercensi di S. Stefano, i quali diedero il nome alla
rocca e ciò per la presenza delle reliquie del santo, poi
traslate il 26 dicembre del 1365-68 da Monopoli a Putignano proprio per
difenderle da una eventuale aggressione dei turchi. Intorno alla fine
del 1200 l'Ordine cavalleresco dei Cavalieri di S. Giovanni di
Gerusalemme detto anche di Malta, poiché già possedeva
una casa-ospedale nella città di Monopoli, decise di trasferirsi
nel castello di S. Stefano per poter svolgere agevolmente i suoi
traffici in Terra Santa. In seguito alla loro presenza il patrimonio
dell'abbazia benedettina si ampliò in relazione all'acquisto di
tenimenti lontani, e la vita del monastero subì radicali
trasformazioni divenendo albergo e ospedale: qui vi alloggiarono i
pellegrini e i Crociati in attesa di salpare per la Terra Santa,
inoltre fungeva da cantiere dove i condottieri riparavano le navi e
riempivano i magazzini di viveri, nonché da ospedale per
medicare i feriti provenienti da Gerusalemme. Santo Stefano fu nel
XVIII sec. la più alta dignità dell'Ordine in Italia ed
ebbe il privilegio di dare investitura ai più famosi cavalieri
del tempo, la cui cerimonia si svolgeva appunto nel monastero.
[Li]
L'Ordine dei Cavalieri di Malta rappresentò la più
importante delle istituzioni sovranazionali di cui fosse dotata
l'aristocrazia europea; ne facevano parte cavalieri provenienti da
Castiglia, Aragona, Italia, Francia, Alvernia, Provenza e Alemagna.
Venivano accolti nelle sue fila solo quei "nobili" che volevano
combattere in difesa della fede e portare assistenza agli infermi e ai
poveri, ma non prima di aver preso parte ad un certo numero di
"caravane" o spedizioni navali contro il Turco, ed essere permasti a
Malta per almeno 5 anni.
Ma al di là di questi compiti, entrare a far parte dell'"Ordine
dei Cavalieri di Malta" rappresentava un vero e proprio blasone per
quei nobili che, non solo possedevano feudi e ricchezze (tra l'altro
richieste dall'Ordine) o esercitavano magistrature civiche, ma che
soprattutto confermavano così documentalmente le loro
qualità nobiliari. Infatti, solo coloro i cui genitori e
antenati erano stati ascritti alla nobiltà da almeno 200 anni,
dimostrabile con l'esibizione di prove come l'atto di battesimo,
certificati di matrimonio dei genitori e degli ascendenti, potevano
entrare a farvi parte.
[AV5]
Queste rigide motivazioni previste dallo Statuto per "vestire l'abito
di Malta" furono introdotte a causa del fenomeno che si verificò
già tra la fine del'500 e inizio del '600: molti esponenti delle
classi mercantili e manifatturiere, investendo le proprie sostanze
nell'acquisto di feudi, speravano così di poter entrare nei
ranghi della nobiltà titolata acquistandone il titolo. Ma questa
loro integrazione nel mondo nobiliare doveva necessariamente essere
avallata da simboli esteriori come la "croce gerosolimitana" che
confermava a pieno titolo la loro "origine nobiliare" e questo status
privilegiato consentiva la partecipazione alle attività
legislative, politiche e amministrative della città. Pertanto
per frenare le ambizioni di gente non nobile che attraverso la
manipolazione di documenti, provvedeva a falsificare prove della
inesistente nobiltà, fu istituito un Tribunale che ne verificava
le effettive origini nobiliari.
[Mu]
Nel 1792, il nobile patrizio salernitano Vito Giuseppe Martinelli
(1758-1833) completava la costruzione di una sontuosa villa sulla
collina della Cozzana, in territorio di Monopoli e precisamente in
Contrada S. Oceano, mentre acquistava altri vastissimi appezzamenti di
terreni agricoli che andavano quasi ininterrottamente dalla masseria
"Spina", tra Monopoli e Polignano, alla masseria "Monte Albano", tra
Fasano e Ostuni.
La famiglia Martinelli, il cui cognome è sparso in tutta Italia,
e trova la sua base nel culto di S. Martino, discendeva con molta
probabilità da una lontana casata veneta, anche se prove
documentali che attestino ciò non sono mai state rinvenute.
Comunque, fuori di dubbio e in base a prove documentali certe, la
famiglia Martinelli di Monopoli proveniva dalla vicina città di
Mola nella quale erano già presenti dal 1500.
Il primo Martinelli che si staccò da Mola per dare luogo alla
casata nostrana, fu Vito Giuseppe (Mola 1692-Monopoli 1766) avo diretto
di colui che successivamente edificherà l'attuale villa
Meo-Evoli.
[Pi]
Monopoli con il suo attivo porto commerciale rappresentò per lui
un ottimo centro per poter ampliare i propri affari. Il commercio di
"sete e pannamenti", che importava dal vicino Oriente, e di legname
ricavato da numerose estensioni boschive di sua proprietà
esistenti all'epoca, gli rendevano bene, tanto da reinvestire i
guadagni ricavati in acquisti immobiliari ed in particolare in
appezzamenti coltivati ad ulivi. Fu costui che acquistò nel 1760
la "masseria Spina" da Pasquale Ammazzalorsa. Non ebbe figli e suo
erede fu il nipote Clemente (Mola 1711-Monopoli 1780) che lo aveva
seguito e che si sposò con Rosa Pizzangroia. Clemente
continuò l'attività dello zio circa il commercio di panni
e seterie praticando anche la compravendita di olio e vino.
Da lui discesero tutti i Martinelli monopolitani, compreso Vito
Giuseppe, che si imparentarono con nobili casati locali come i
Manfredi, gli Indelli, gli Antonelli, i Ghezzi, i Farnaro; e forestieri
come i Noja (baroni di Bitetto), i Pandolfelli e gli Antonacci (di
Trani), i Tresca-Carducci (patrizi di Bari), i D'Eramo, gli Zaccaria, i
Ventura, i Lamonaca e i Correale (patrizi di Sorrento); i quali
continuarono attività degli avi incrementando smisuratamente la
loro ricchezza.
[Pi]
Ricchi e potenti praticarono prestiti di denaro con alti tassi di
interesse, come era in uso fare all'epoca, aumentando così ancor
più la loro ingente fortuna.
Come abbiamo già detto nel capitolo relativo alle notizie
storiche, nel XVIII secolo la nobiltà assieme alla borghesia
civile, deteneva il potere amministrativo della città,
però le prerogative riguardanti l'esercizio di pubblici uffici,
di attività legislative o di iniziative economiche erano
privilegio esclusivo delle classi nobiliari; pertanto vi furono molte
pressioni su questi ultimi affinché la nuova borghesia
mercantile, acquistando titoli nobiliari, potesse affiancarsi ad essi
nell'esercizio di queste funzioni. La nobiltà reagì di
fronte a questo stato di cose con l'istituzione "Registro delle piazze
chiuse", (detto così per l'antichissima usanza di alcune
famiglie di riunirsi nelle piazze per legiferare) ossia un registro nel
quale potevano iscriversi solo le famiglie nobili di una certa
tradizione e importanza. così fecero anche i due fratelli
Martinelli, Vito Giuseppe (1758-1833) e Francesco Paolo (1755-1818), e
poiché la nobiltà monopolitana poco contava rispetto a
quelle più importanti della nobiltà salernitana,
ottennero l'aggregazione al "Registro delle piazze chiuse" del
patriziato di Salerno. La casata fu fedelissima al governo borbonico di
Ferdinando IV, il quale per evitare abusi e iscrizioni irregolari
istituì il "Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà
del Regno" che doveva verificare e portare ordine nei riconoscimenti
nobiliari.
[Mu]
Da questo momento i due Martinelli sopra citati divengono guardie del
corpo a cavallo, non prima però di aver dato prova di
nobiltà facendo parte dell'Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni
in Gerusalemme. Ricevono pertanto dal sovrano borbonico uno stemma
raffigurante uno scudo ..."d'argento, al lambello di tre pendenti di
rosso, sostenente una fenice posta, nella sua immortalità, al
naturale, fissante un sole d'oro, posto nel canton destro del capo, e
accompagnato in punta da due spade in croce di S. Andrea (simbolo dei
Cavalieri di Malta).
[Pi]
Si è già detto che fu Vito Giuseppe (1758-1833) ad
edificare la villa in Cozzana, "l'ingegnosus et hilaris homo" come egli
stesso si definisce nella lapide che ricorda l'ultimazione dei lavori
(1792), ma non potendo aver figli trasferì la proprietà
della stessa al fratello Francesco Paolo nato nel 1755 e morto nel 1818
sulla strada di Bovino durante un suo viaggio a Salerno. Fu costui
l'iniziatore della fortuna della famiglia: il matrimonio con la nobile
e ricca Eleonora Indelli patrizia bitontina, gli consentì
l'accesso nella gelosa nobiltà monopolitana. I suoi figli non
ebbero così difficoltà ad accasarsi con le altrettanti
nobili e facoltose famiglie dei Noja, Carbonelli, Pandolfelli e
Tresca-Carducci
[Pi]. Testimonianze
dell'operato dei due fratelli sono anche presenti nella Cattedrale
della SS. Madonna della Madia in Monopoli, dove è presente la
cappella Martinelli, all'interno della quale un altare dedicato a
Gesù Crocifisso, fu eretto a devozione proprio da Vito Giuseppe
e da Francesco Paolo. Sul detto altare è presente lo stemma
della casata raffigurante, come detto, la fenice, il lambello, il sole,
e sotto questi, la croce di Malta. Sempre nella cappella, tre lapidi,
recanti iscrizioni latine, fanno riferimento una alla costruzione
dell'altare:
(traduzione)
A te, Gesù Crocifisso che non abbandonasti la
Croce e a Cui tutto è dovuto, da parte di tutti, Francesco Paolo
e Vito Giuseppe, fratelli monopolitani, cavalieri patrizi salernitani
della nobile curia dalla quale si distaccò la famiglia.
A Te consacrassero per sempre questa sede gentilizia
acquistata da Vito Giuseppe (forse loro zio) e ora da noi restaurata e
decorata
Anno 1790
Le altre due lapidi sono sistemate sui due lati opposti della
cappella e quella di destra del 1770, quindi anteriore rispetto a
quella sopra scritta e riguardante un avo dei due fratelli, -la cui
traduzione- recita così:
CLEMENTE XIV
AD UN PIU' DURATURO RICORDO DELL'ALTARE
Appena il diletto figlio Vito Giuseppe fece sì che
recentemente fosse promesso da Noi il diritto di un'altra cittadinanza
o diocesi. monopolitana a Martinelli, egli stesso nella chiesa della
Cattedrale monopolitana eresse ed ornò a proprie spese l'altare
del Santissimo Crocifisso, dicendosi pronto, così come altri
intendano fare, che siano celebrate alcune messe per la sua famiglia;
dicendosi pronto per i celesti doni all'altare di siffatta maniera;
l'Altissimo ritenne che la distribuzione di questi fosse dovuta alla
Nostra fede, poiché soprattutto desidera che sia decorato da Noi
con elargizione; possiamo perciò Noi acconsentire favorevolmente
alle pie offerte di costui che prometate in questa situazione (o
momento). Inginocchiati su questo altare umilmente, essendo state
elevate a Noi le suppliche, come in un qualsiasi momento, un sacerdote
di un secolare o di un qualsiasi altro ordine di una congregazione o di
una istituzione regolare celebrerà un sacrosanto rito di messa
su questo altare, a favore delle anime di colui che promette, quando
avrebbe preso la via della vita immortale (quando sarebbe morto) e
delle anime dei suoi defunti consanguinei o parenti e di qualsiasi
discendente dello stesso, che sarebbero morti congiunti a Dio
nell'amore.
Quando sarà stato celebrato il rito della messa
per l'anima di costuti si facciano suffragi in ugual misura per le
altre anime e, se fosse stato celebrato presso l'altare privilegiato,
sia concessa l'indulgenza per l'autorità apostolica.
Fino a quando quelli che precedono non hanno bisogno
della Nostra apostolica regola di concedere l'indulgenza e degli altri
ordinamenti ed ordinazioni apostoliche e dei rimanenti contrari, si
faccia in modo di stare bene nei tempi presenti e futuri.
Scritto in Roma presso Santa Maria Maggiore, sotto
l'anello del pescatore, il giorno 17 febbraio 1770, nel primo anno del
Nostro pontificato.
|
|
Continuando, il nipote di Francesco Paolo, suo omonimo, figlio di
Clemente Martinelli (sindaco di Monopoli nel 1717-1718) fu colui che
decise di costruire un piccolo museo, nel bel mezzo dello splendido
parco alla "Caccia Reale", attiguo alla villa, nel quale vennero
sistemate e lo sono tuttora, due collezioni di materiali archeologici,
quella dei Martinelli e quella dei Palmieri. Si tratta di pezzi (vasi a
figure nere e rosse, sculture in marmo di età ellenistica e
romana) che sicuramente vennero prelevati nell'area di Monopoli e di
Egnathia, tra il 1700 e il 1800, e che Francesco Paolo decise di
proteggere edificando il museo sorto nel 1837, anno nel quale faceva
apporre una lapide commemorativa sulla porta centrale del museo,
poiché egli stesso affermava: "...se hai una cosa bella, coprila
con sette veli e chiudila con sette porte", anche se poi le mise a
disposizione degli studiosi e di tutti coloro che ne erano interessati,
come la stessa lapide indica. Francesco Paolo (1803-1875) fu anch'egli
patrizio salernitano, cavaliere mauriziano, cavaliere gerosolimitano
nonché sindaco di Monopoli negli anni 1834-39 e dal 1846-51.
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Oltre alla villa Meo-Evoli, i Martinelli possedevano in Monopoli, il
palazzo nell'attuale via 0. Comes, 26 , che è stato sede della
sezione del Conservatorio Musicale; un palazzo in Largo Plebiscito n.
7, una casa in Chiasso Purgatorio; nonché locali., rimesse e
botteghe, case, magazzini, sottani e stalle. Possedettero inoltre
masserie a Cervarulo (70 tomoli), a Tortorella (oltre 25 tomoli), a
Carluccio (oltre 100 tomoli), a Baione (oltre 70 tomoli) e poi la
masseria Losciale, quella di Montalbano, la masseria Procopio nei
pressi della stazione di Egnazia, la masseria Lamandia, la masseria
Covello e quella di Magnetta ed infine la già citata masseria
Spina.
[Pi]
Le masserie sorsero come fenomeno tipico della società agraria
locale dal XVI secolo in poi. A causa del continuo incremento
demografico la domanda dei beni di consumo spinse all'esplorazione e al
dissodamento di molte contrade monopolitane. Ogni comunità
insediatasi divenne, poi, centro di coltivazione agricola strutturata
in modo da essere autosufficiente: dotata di chiesa, mulino, forno,
case dei coloni, stalle, pollai e colombaie. Il nucleo centrale della
costruzione, era quasi sempre costituito da un grande edificio
quadrangolare a due piani comunicanti, munito di ponte levatoio,
campana, caditoie, feritoie, garitte e cinta. Tutte le facciate esterne
venivano realizzate in tufo e addossate alla parete rocciosa
opportunamente ritagliata. I portali venivano preceduti solitamente da
una gradinata e gli ingressi sormontati da lunette affrescate (ad es.
la Madonna della Madia fra i Santi è raffigurata sul portale del
trappeto della masseria Spina).
Dal primo piano si accedeva al pianterreno tramite una botola ed una
scala a pioli, nel pianterreno vi erano armi e viveri necessari per un
mese. In caso di assedio veniva alzato il ponte levatoio che poggiava
su di una scalinata e dal terrazzo attraverso le caditoie, costruite in
direzione dell'ingresso e delle finestre, si facevano cadere giù
pietre ed olio bollente; attraverso le feritoie si sparava con gli
archibugi.
[Mo]
Dal XVI secolo in poi le masserie fortificate divennero espressione
avanzata di difesa contro gli attacchi dei turchi e dei briganti,
nonché centri fiorenti di produzione e trasformazione dei
prodotti agricoli, ne è un esempio la trasformazione delle olive
in olio, prodotto molto richiesto che non a caso i Martinelli
esportarono con successo sia in Italia che all'estero.
Villa Meo-Evoli fu edificata da Vito Giuseppe Martinelli, sulla collina
della Cozzana, quando per raggiungerla da Monopoli si andava ancora a
basto.
La scelta di quella contrada non fu casuale. La facilità e i
pochi chilometri da percorrere la rendevano piacevolmente raggiungibile
dalla città, inoltre la sua leggera altitudine rispetto al
livello del mare nonché l'esigua distanza da esso, consentiva e
consente tuttora di godere di un'aria fresca, odorosa di pini, querce e
ulivi, mitigata dalla brezza marina. Dunque, la dolcezza del clima e la
facile raggiungibilità spinsero il Martinelli a realizzare qui
l'edificazione della villa per il suo riposo estivo, lontano dalle
fatiche abituali di ricco commerciante di stoffe, olio e vino.
La villa fu ubicata ai margini di un bosco di querce e di pini che
prese il nome di "Parco Caccia Reale". A questa si accedeva da un largo
viale che era, in origine, seguito da maestosi e fitti muri di cipressi
bordati da cespugli di bosso; mentre ai lati di essi si trovavano due
frutteti circondati perimetralmente da colonnati e pergolati di uve.
Nel centro di questi si ergevano due capanne circolari di bosso che
armonizzavano con i verdi filari di cipressi.
[Re]
Le cose nel corso degli anni sono andate mutando. Il viale è ora
costeggiato sui due lati da maestosi alberi che con le loro fronde
sembrano ricoprirlo creando ombra e, al di là di essi, da
entrambi i lati, due distese di prato inglese circondano centralmente,
due semplici fontane circolari.
Il sontuoso ed ampio edificio, il cui inizio dei lavori non è
dato sapere, fu ultimato nel 1792 come risulta dalla lapide, posta a
sinistra in alto rispetto alla porta di ingresso, a commemorazione
della fine dei lavori; e secondo riferimenti orali, sia l'architetto
che i maestri scalpellini vennero da Napoli.
La villa presenta un prospetto costituito da un alto colonnato e, da
due colonnati, identici al primo, disposti lateralmente; tutti e tre si
pongono dinanzi a tre loggiati. I due loggiati laterali si prolungano
in ariose terrazze con giardini pensili che allargano il frontale della
villa. Quello esposto ad ovest conduce, attraverso un piccolo viale,
alla fontana settecentesca del "Bacchetto" e, poco più in
là, ad una capanna la cui struttura è in ferro, ricoperta
di pampini di vite canadese.
Da qui attraverso un sentiero detto "viale della moquette",
perché ricoperto di fitto muschio verde pallido, prende inizio
il parco. In puro stile rococò il giardino, situato sulla parte
posteriore della villa, degrada man mano verso la piana in direzione
del mare. Tutt'intorno, nel fitto della vegetazione, compaiono busti,
colonne con capitelli sorreggenti vasi, statue, sarcofagi, iscrizioni
latine; rovine vere e false vi si alternano.
Da una fontana circolare con una sottostante vasca, si diparte un altro
sentiero, bordato di cespugli di verde bosso sagomato a cesoie e adorno
di una serie di busti di marmo di età classica, che conduce al
padiglione del "Museo".
Il loggiato esposto a Mezzogiorno, anch'esso dotato di terrazzo e
giardino pensile, termina con quella che anticamente era l'abitazione
dei custodi della villa, ma che ora viene utilizzata come rimessa.
Anche da qui prende inizio la vegetazione, per poi congiungersi con
quella del restante parco, impreziosita da altre fontane
settecentesche: quelle dei due putti, del centauro e della fontana a
forma di barca con tartaruga.
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Il loggiato posto in prospetto, invece, era originariamente, aperto, ma
nel primi anni del Novecento fu realizzata un'ampia vetrata, costituita
da tessere di vetro soffiato, che lasciando passare i raggi solari crea
l'ambiente ideale per una fitta vegetazione di ficus, felci,
filodendri, palme e papiri che trovano sistemazione nella parte coperta
dell'ampia veranda, la quale poi è impreziosita da un grande
lampadario di cristallo soffiato e da alcuni affreschi, coperti dalla
vegetazione, ed in via di restauro. Attigua alla veranda è la
scalinata in pietra che conduce alla porta d'entrata del piano
nobiliare.
Omissis...
- [Mu]
- G. Musca: "Storia della Puglia"-Età moderna contemporanea.
Mario Adda Editore. Vol. II.
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- Autori vari: "Monopoli nell'età del Rinascimento" Atti del
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Napoli"-Arnaldo Forni Editore
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Monopoli-Assessorato alla Cultura. Vol. 2
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- J. H. Von Riedesel: "Nella Puglia del '700" Lorenzo Capone Ed
- [Li]
- S. Lillo: "Monopoli, sintesi storico-geografica"-Ed. Grafiche
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- Autori vari: "Monopoli nel suo passato"-Comune di
Monopoli-Assessorato alla Cultura. Vol. 5
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- M. Pirrelli: "Monopoli illustre" Schena Editore Fasano
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- L. Mongello: "Le masserie di Puglia" Ed. M. Adda Bari
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- M. B. Reho: "La collezione Meo-Evoli-Ceramica italiota a figure
rosse" Fasano Schena Ed. 1979
- Manoscritti
e fonti non esplicitamente citati sono stati reperiti presso:
- - Biblioteca comunale P. Rendella di Monopoli
- - Archivio Unico Diocesano di Monopoli